I.Magistrale Margherita di Savoia
Motivo dell'adozione
Piuttosto che un singolo monumento, abbiamo preferito adottare un intero quartiere. D’altra parte, il termine ‘monumento’ si pone all’interno della ricostruzione semantica del vocabolo ‘monito’: esso sta là come insegnamento e non può essere sradicato dal contesto in cui è sorto ed in cui deve essere ricollocato. Se si vuole poi giocare sul termine ‘adozione’ (che richiama il bambino, il debole), appare evidente che in questo caso il rapporto bambino-adulto è invertito, ed in ciò consiste il valore provocatorio dell’iniziativa: sono stati i giovani (bambini) ad adottare un monumento (adulto). Ma i giovani non hanno commesso l’errore di chi adotta un bambino straniero per colmare un proprio vuoto e lo sradica dal suo paese di provenienza. I giovani non hanno adottato i monumenti per rispolverare cattedrali nel deserto, per imbellettare a maggio monumenti che poi, a novembre, saranno di nuovo ricoperti di erbacce. La scuola ha voluto innanzitutto vivere il territorio, essere parte di esso ed educare i giovani a leggere i segni del tempo e della storia e a salvaguardarli dagli sfregi e dal degrado. Immergersi nel quartiere ha significato educare i giovani ad esercitare la loro capacità di guardare fuori di sé, per guardare poi dentro di sé, memori del motto kierkegerdiano ‘odio coloro che prima di cambiare il mondo non cambiano se stessi’.
Descrizione del Monumento
La zona di Pontecorvo occupa il versante della collina vomerese che, all’altezza dell’attuale piazza Mazzini, si protende verso la città. Fino a che la città non si estese verso il quartiere Olivella, il promontorio rimase pressochè disabitato, a causa della sua difficile orografia. Tra Seicento e Settecento, conosce un’intensa urbanizzazione e si trasforma in una ‘cittadella monastica’, posta, insieme al Borgo Montesanto, al di fuori del perimetro urbano, in corrispondenza della porta d’accesso – Porta Medina -, eretta da Cosimo Fanzago per ordine di Ramiro de Guzman, duca di Medina. L’itinerario parte da piazza della Pignasecca. Da qui ci si porta verso l’Ospedale dei Pellegrini, nel cui cortile prospetta la chiesa della SS.Trinità, datata 1798 su progetto di Carlo Vanvitelli. Il complesso è frutto di vari ampliamenti, avvenuti nell’arco di oltre duecento anni, le cui vicende sono strettamente legate a quelle della omonima arciconfraternita. Carlo Vanvitelli cominciò a lavorarvi nel 1792. La chiesa è una grande aula a pianta ottagonale con sei altari speculari (con tele di Onofrio Palumbo, Francesco Fracanzano e Andrea Vaccaro). La cupola, a sesto ribassato, è dominata dall’affresco L’occhio della Trinità, di Melchiorre de Gregori. Dietro l’altare maggiore è il gruppo scultoreo della SS.Trinità, opera di Angelo Viva. Nel 1798, alla vigilia del Giubileo del 1800, viene terminata anche la facciata principale, scandita da lesene corinzie, che forma uno scenografico fondale al cortile dell’ospedale. Attraversata la via Porta Medina, si raggiunge Santa Maria di Montesanto, la cui costruzione è attestata già nel 1646. La chiesa è a navata unica con tre cappelle laterali per lato, con statue di pregevole fattura e dipinti di Francesco De Mura. Il trono dell’altare maggiore è opera del Fanzago. Percorrendo la Salita Tarsia, si arriva al Palazzo Spinelli di Tarsia. L’attuale configurazione (l’edificio è in condizioni di pesante degrado) è quel che resta del ben più grandioso progetto realizzato, tra il 1730 e il 1735, da Domenico Antonio Vaccaro. Il Vaccaro modificò il terreno lungo un asse ideale, ortogonale al prospetto principale del fabbricato e passante per il portone centrale, che congiungeva il palazzo con il centro della città. La ‘loggia’ che si sviluppava lungo tale asse aveva lo scopo di disimpegnare il visitatore, che saliva al palazzo, dalla spiacevole sensazione provocata dalla eccessiva pendenza del terreno. Attraverso Salita Pontecorvo, si raggiunge la seicentesca chiesa di San Giuseppe delle Scalze, rifatta da Cosimo Fanzago, che adottò il motivo della doppia facciata: la chiesa, infatti, è preceduta da un grande atrio, il cui elemento dominante è costituito da una scalinata, che conduce al piano di imposta della chiesa, posto ad un livello superiore al piano stradale. L’itinerario si conclude con le monumentali scale di Montesanto, realizzate nel 1880 per collegare il centro antico con il Corso Vittorio Emanuele.